La donna nella storia di Montalcino

Arturo Luciani “Vaccinazione nella campagna senese” In questi primi giorni di marzo, in corrispondenza della giornata mondiale dedicata al gentil sesso la Montalcinonews ha deciso di fare un tour nella storia della culla del Brunello per scorpire il ruolo che la donna svolgeva all’interno della comunità di Montalcino.
Chi si avvicina a Montalcino e alla sua storia non può fare a meno di vedere che è costellata dalle storie di molte donne che hanno lasciato i segni del proprio passaggio ed hanno contribuito a rendere il territorio centro ammirato e apprezzato in molti settori.
Dal Medioevo ai giorni nostri il panorama di testimonianze, leggende e racconti sulle donne di Montalcino è ricco e a dir poco variegato. Ognuno di essi rappresenta un tassello che si aggiunge al mosaico storico di questa città delle colline senesi e ci aiuta a scoprire aspetti fino ad ora poco conosciuti, in particolare proprio riguardo all’importanza del ruolo della donna nella società di questo territorio. Ed ecco apparire tra le carte dell’archivio donne impegnate in prima linea in attività tradizionalmente femminili o co-protagoniste di alcuni degli eventi più significativi dei secoli passati, che meritano di essere ricordate e che hanno lasciato tracce della loro presenza in molti settori della vita quotidiana. Da una donna di nome Giovanna di Cenne vissuta nel Trecento, a donna Lina e donna Petra rettrice dello Spedale di Santa Maria della Croce, passando per le donne che hanno difeso la città dall’assedio del 1553, fino alle loro concittadine che, con amore e passione, hanno fatto conoscere Montalcino per i tessuti damascati venduti localmente ed esportati - come accade ancora oggi grazie alle imprenditrici del vino che contribuiscono a rafforzare e diffondere il prestigio del pregiato Brunello nei calici di tutto il mondo -  per arrivare allo Statuto, specchio della realtà comunale di età medicea. È un percorso che si snoda nei secoli ed è il segnale di una forte identità culturale nella quale le donne ilcinesi si riconoscono e della quale fanno parte.
Uno dei testi più antichi che documentano un consolidato interesse femminile per l’arte è una pergamena trecentesca. Risale all’11 giugno 1363, infatti, il testamento di Giovanna di Cenne di Bono, moglie di Bartalo di Salvino, con il quale essa disponeva dei propri beni mortis causa. Giovanna destinò e vincolò parte dei suoi averi per la realizzazione di un dipinto raffigurante San Nicola da Tolentino; inoltre ne fissò la collocazione nella Chiesa di Sant’Agostino, nella quale desiderava essere sepolta. Allo stato attuale non sembra che il dipinto di cui parla il testamento sia giunto fino a noi, tuttavia è evidente che esso sia il frutto della volontà di arricchire con opere d’arte un edificio ecclesiastico montalcinese, sulla scia del vasto progetto che fu realizzato in quell’epoca grazie agli interventi di donna Petra Cacciati e di sua sorella Lina di Ser Griffo. L’attenzione per il bello e la cura dei dettagli tipica delle donne del territorio traspare anche dalla loro abilità nei lavori prettamente femminili. È Giovanni Antonio Pecci che nel Settecento, nelle sue “Memorie Storiche”, lo indica nella prima carta della sua relazione come uno dei segni distintivi della piccola comunità senese: “.. le donne, oltre a tutti i lavori che scelgono l’altre femmine esercitate, in questa città lavorano a telaio finissimo panni di lino a damasco con tanta delicatezza e perfezione, che non sdegnano i gran personaggi servirsene per imbandire le loro tavole”. Le donne a Montalcino, quinbdi erano conosciute anche per la loro abilità nella filatura, nella tessitura e nel ricamo: i loro prodotti non erano apprezzati solo localmente, la loro diffusione aveva una dimensione ultraterritoriale, un esempio di intraprendenza e induistriosità, quasi ad anticipare gli ottimi risultati ottenuti nel XX secolo dalle loro contadine in campo vitivinicolo.
La passione per le manifatture traspare anche dalla lettura dello Statuto del danno dato. La provenienza della notizia è certamente insolita in quanto quel documento ha carattere legislativo e si occupa prevalentemente di tutelare la proprietà privata. Se leggiamo tra le righe, però, traspare un’altra informazione interessante. La filatura era talmente diffusa da essere praticata dovunque dentro e fuori dalle abitazioni, tanto che per motivi di igiene si era arrivati ad affiancare ai consueti divieti di filare in determinati luoghi, come la stanza in cui si cuoceva il pane ed in prossimità dei pozzi.
Ciò non deve far credere che le donne a Montalcino si dedicassero solamente ai lavori tipicamente femminili: tutt’altro. Nel breve viaggio tra le piccole storie delle signore ilcinesi, si possono incontrare donne che difesero strenuamente la città insieme ai loro compagni nel 1526, in occasione dell’assedio dell’esercito papale inviato da Clemente VII contro Siena, nonostante che il Commissario avesse espressamente bandito il divieto per le donne e i giovani di avvicinarsi alle mura. Come racconta Tullio Canali e Giovanni Pecci, l’ordine fu disatteso, le donne si armarono di attrezzi di ferro e di legno, di pietre e di altri strumenti idonei sia alla difesa sia all’offesa. l’esito dello scontro fu nettamente a favore di Montalcino. Un altro esempio della versatilità femminile del gentil sesso montalcinese risale agli anni cinquanta del XVI secolo, quando le donne non si limitarono a dispensare cibo agli uomini impegnati nel rifacimento della Rocca, ma collaborarono materialmente con loro per una migliore e più rapida riuscita della fortificazione.
Da non dimenticare è la presenza femminile in un centro di potere enorme: l’ospedale di Santa Croce amministrato da un rettore: un cittadino montalcinese ultraquarantenne sposato, incarticato tra l’altro di scegliere una matrona che si doveva occupare di far maritare venticinque fanciulle. Inoltre, nell’organico dello Spedale era tassativamente richiesto che il canovaio avesse una moglie, che ci fossero una fornaia ed una serva, oltre ad un cerusico, anch’egli sposato, in modo che i coniugi si potessero dedicare alla guarigione dei malati di ambo i sessi, col massimo rispetto del pudore altrui.
Infine, una considerevole messe d informazioni, è tramandata dallo Statuto comunale, che custodisce il diritto vigente nel territorio a partire dal XVI secolo.
Alle disposizioni rivolte alle donne e tradizionalemente contenute anche in altri codici legislativi dello Statuto senese, come quelle che regolavano la dote e le modalità per la successione ereditaria o che riducevano le sanzioni penali, in ragione del sesso, si affiancano alcuni capitoli, espressione tangibile di una realtà del tutto peculiare. Ne è un esempio la rubrica contenuta nella seconda distinzione dello Statuto cinquecentesco di Montalcino intitolata “delle questioni tra marito e moglie”. Con questa previsione veniva identificato un sistema di soluzione delle liti tra i conuigi “essendo inconveniente che le questioni tra marito e moglie si mandino in lungo”. Entrambi potevano rivolgersi al giudice, personalemente o mediante procuratori, che sceglieva due arbitri “confidenti e non sospetti”per sciogliere la controversia. Nel caso in cui gli arbitri non avessero raggiunto un accordo, era concessa al giudice la facoltà di sceglierne un terzo, individuato tra i Massari o tra gli uomini più anziani della Città e incaricato di dirimere la questione insieme ai due arbitratori precedentemente nominati. Il capitolo in questione contiene un’altra norma interessante ed utile per comprendere quali fossero i diritti delle donne nella società montalcinese. Era previsto l’obbligo per il marito di corrispondere alla sposa un assegno di alimenti “se sarà scacciata dal marito, o che con esso non abiti, se per il marito starà che non ritorni a stare con lui”. Senza dubbio la norma esprime un chiaro segnale di attenzione per le donne, ma va oltre, obbligando il marito a pagare gli alimenti anche per una fantesca, se le sue condizioni economiche e sociali lo consentivano. Si tratta di una antica previsione di tutela che anticipa di secoli la possibilità per il coniuge più debole di ottenere una sorta di mantenimento, in determinate situazioni che pregiudicavano il proseguimento di una vita di coppia serena, e modulato in relazione alle sostanze e allo status sociale delle parti.
Nella seconda metà del Cinquecento, periodo nel quale venne nuovamente redatto lo statuto, la normativa aveva superato lo stato embrionale ed appare sviluppata ed articolata. Nel caso, infatti, in cui il marito si fosse assentato dalla Città o si fosse recato fuori dai confini dello Stato senese senza provvedere agli alimenti per la moglie, era concessa ai parenti di lei la facoltà di richiederli in suo nome mediante un procedimento più snello e sommario “e de facto e non servata alcuna solennità di ragione”.
Lo Statuto mediceo del Comune di Montalcino ci fornisce ulteriori indicazioni. Esso contiene un capitolo breve, ma denso di implicazioni, dal titolo: “della pena del supposto parto”. Recita la normativa: “se alcuna donna si metterà sotto il parto di altri, sia condennata in lire cento e nella medesima pena sia punito qualunque di Montalcino, che alle predette cose darà aiuto, consiglio o favore”. Ci troviamo di fronte ad un illecito penale raro da riscontrare negli Statuti di area senese dell’epoca, che sanzionava pesantemente ed in ugual misura sia l’esecutrice che eventuali complici o aiutanti. È possibile ipotizzare che sia stato inserito nel libro degli Statuti in seguito a determinate vicende per colmare un vuoto legislativo e rispondere all’esigenza di punire il verificarsi di episodi simili.
La normativa di Montalcino del Cinquecento contiene un’altra preziosa rubrica di tutela per le donne e la loro prole: “che certe cose fatte dalla donna non si osservino”. Il capitolo limitava l’efficacia dei contratti conclusi prima del matrimonio tra una donna ed un’altra persona, nel caso in cui fosse seguito il matrimonio e fossero nati dei figli. l’accordo infatti non poteva pregiudicare le figlie (il testo parla espressamente di figliuole, nulla si dice, invece, dei figli maschi) che non avessero una dote, nel qual caso il contratto era nullo. Era inoltre disciplinato anche il caso in cui non fossero nati dei figli. In questa ipotesi, era “riservato il mezzo per nuziale guadagno al marito”, mentre la donna era libera di disporre come meglio credesse opportuno dell’altra metà.
Si tenga presente che era espressamente stabilita l’efficacia retroattiva di questa previsione, come se fosse stata inserita a seguito del verificarsi di controversie in situazioni analoghe.
Ognuna di queste piccole storie si intreccia e si fonde nella storia di Montalcino fatta di battaglie, di amore, di vita rurale e di donne che, attraverso i loro interventi hanno concorso a formare le donne di oggi.

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